di Marco Bentivogli – Corriere della Sera, 4 aprile 2017
Caro Direttore, robot e occupazione? Una partita tutta da giocare se la smettiamo con i catastrofismi. Non c’è nulla da fare. La paura e l’incertezza vanno forte e si scatena la guerra dei numeri. Gli ultimi solo in ordine di tempo , dicono che ogni robot farà perdere 6.2 posti.
Questi “terribili robot” sono tra noi da oltre 30 anni, Mirafiori li aveva negli anni 80 e tra una Fiat Uno e una Fiat Punto , la forza lavoro si era ridotta a un decimo senza robot cooperativi e intelligenza artificiale. E i bancomat? Le pompe di benzina , gli impiegati prima di office e i pc? Se pensiamo che la sostenibilità la raggiungiamo fermando la tecnologia , allora torniamo all’aratro a trazione umana, perché quella animale cancellò tantissimi posti di lavoro.
La vera novità è il grafico del World Economic Forum che indica il 2015 il costo orario di un robot per rendere più conveniente l’utilizzo della persona come propone Bill Gates? Intanto sarebbe utile che i big della news ecnomy pagassero le tasse. Il fatturato per dipendente di queste multinazionali è gigantesco rispetto a quelle industriali manifatturiere e le tasse sono inversamente proporzionali, L’industria italiana ha perso 87 miliardi di investimenti privati, che sono andati alla rendita , settori protetti all’estero. Poi qual è il robot da tassare? Partiamo dai rasoi elettrici? Dalle lavatrici? Dovremmo dire a Fca di smontare i 16 robot della butterfly che saldano la carrozzeria di una Jeep Renegade a Melfi perché rimpiangiamo le esalazioni della saldatura ? O interrompere la sperimentazione di esoscheletri a Pomigliano per eliminare le ultime criticità ergonomiche? O alla Foxconn di non puntare sui robot e tenere le “splendide” catene di montaggio, sorvegliate da uomini armati , con reti anti- suicidio , viste con i miei stessi occhi a Shenzhen in Cina, fuori dalle finestre dei dormitori? Il rischio è che si affronti questo dibattito parlando solo di tecnologie e catastrofismi come è successo nella vicenda Fca-Fiat, leggendo le rassegne dei talk ieri e della California oggi, in cui i ricchi della news economy da grandi visionari sono ora concentrati sull’ ”imminente fine del mondo”.
Un futuro con il 10% che lavorerà e il restante che vivrà di sussidio non regge né per sostenibilità economica né dal punti di vista sociale ed etico. Nella guerra di cifre il mondo va avanti; la narrazione di un futuro nefasto non lo migliorerà neanche lo rallenterà. In Italia settori come l’elettrodomestico sono quasi spariti per lo scarso investimento delle tecnologie. L’esatto contrario del teorema dei catastrofisti . Tutti i reshoring sono stati realizzati con accordi sindacali con più formazione , nuove tecnologie e organizzazione del lavoro. In Italia, poi, la tassa sui robot graverebbe in modo inversamente proporzionale alla dimensione d’impresa, già troppo piccola e non rallenterebbe la trasmissione , la precluderebbe senza approdi più sostenibili. Il nostro è un Paese che si occupa del paracadute senza aver imparato a volare.
Ci occupiamo di colmare il più alto gap di competenze rispetti ai nuovi skills, come abbiamo fatto nel Contratto dei metalmeccanici, con il diritto soggettivo alla formazione, o ci occupiamo solo degli effetti collaterali? Fermare il progresso non è di sinistra , è velleitario, è pensare di fermare l’acqua con le mani. C’è uno spazio di lavoro che le persone possono e potranno riempire con la loro energia insostituibile. Bisogna giocarsi la partita, ripensare integralmente l’idea di impresa e le sue finalità, il lavoro, gli orari, la sostenibilità intelligente. C’è molto da fare per occuparsi di queste cose, e non lasciare campo alla paura. Nel frattempo leggiamo “LaudatoSi’”: è molto più avanti del Mit e di McKinsey.